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INDIANI D'AMERICA

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view post Posted on 13/2/2013, 17:34
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Gli Indiani d’America

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Nel 1492, quando Cristoforo Colombo sbarcò sull’isola caraibica di Hispaniola, credette di aver raggiunto le Indie orientali e, di conseguenza, defini Indiani gli abitanti dell'isola. Nonostante l'errore il termine è rimasto nell'uso generale per designare i popoli indigeni delle Americhe. Sebbene si preferisca in genere il termine spagnolo indios per designare gli abitanti dell'America Centrale e Meridionale, questi sono qui accomunati con gli altri sotto l'unica denominazione di Indiani, che ha naturalmente la medesima origine. Nel 1735 il tassonomo svedese Carlo Linneo dette un riconoscimento formale all'autonomia biologica degli originari abitanti del Nuovo Mondo, definendoli razza "americana'' o ''rossa". Così molti milioni di esseri umani appartenenti a oltre 2OOO culture diverse, finirono per restare accomunati sotto un'unica denominazione razziale e culturale che è in realtà del tutto inappropriata. Questi indigeni americani non erano né "indiani" né ''rossi", e non potevano essere agevolmente classificati sotto un'unica etichetta culturale a causa della loro notevolissima diversità.




Le prime impressioni degli europei sugli indigeni americani furono di un popolo forte ed elegante né inferiore né superiore agli europei stessi. Nel corso della colonizzazione europea del Nuovo Mondo, tuttavia gli Indiani finirono per essere considerati fisicamente diversi, intellettualmente inferiori e culturalmente limitati rispetto ai conquistatori bianchi. Approfondite ricerche antropologiche non sono tuttavia riuscite a identificare alcuna differenza significativa fra gli indigeni americani e qualsiasi altro popolo del mondo.




Caratteri fisici.




Fisicamente, gli indigeni americani incontrati dai primi esploratori, dall'Artide fino all'estremità dell'America Meridionale erano più omogenei di qualsiasi altra popolazione continentale. Gli Indiani avevano pelle di colore variabile dal giallo bruno al bruno rossastro: non erano dunque più scuri, e forse lo erano meno, di taluni marinai di Colombo. Il colore dei capelli e degli occhi era invariabilmente scuro: le notizie su indigeni americani dagli occhi "bianchi" o azzurri si riferivano in realtà ad albini o alla progenie delle prime unioni interrazziali. I capelli erano ruvidi e capaci di crescere fino ai piedi; la peluria corporea e la barba erano rade. Sotto tutti questi aspetti, le caratteristiche fisiche degli indigeni americani riflettono le loro antiche origini nordasiatiche.




La statura degli indigeni americani è assai variabile, ma la media è vicina a quella dell'umanità nel suo complesso: da 1,62 a 1,66 m per i maschi e circa 1O cm in meno per le donne. Alcuni gruppi del nord-est e di alcune zone del nord-ovest dell'America Settentrionale, nonché del sud dell'America Meridionale, hanno statura tendenzialmente superiore alla media. La conformazione delle labbra e del naso è assai variabile da individuo a individuo e da gruppo a gruppo, ma i visi sono in genere larghi, gli zigomi alti e il mento poco pronunciato.




Il gruppo sanguigno O è il più comune fra gli indigeni americani mentre sembra che i gruppi A e B fossero del tutto assenti nell'America Meridionale precolombiana. L'Rh negativo era probabilmente assente nel Nuovo Mondo.




Origini e stime demografiche.




Gli antenati degli indigeni nordamericani arrivarono in America dall'Asia più di 2O.OOO anni fa. Alcuni archeologi ritengono che questa migrazione sia cominciata in realtà molto tempo prima, almeno 4O.OOO anni fa. I primi americani raggiunsero il Nuovo Mondo attraverso l'istmo di Bering, un tratto di terraferma che univa la Siberia all'Alasca durante il pleistocene. I ritrovamenti archeologici indicano che già 17.OOO anni fa vi erano gruppi di cacciatori- raccoglitori sparsi per tutta l'America Settentrionale e che essi avevano raggiunto l'estremità dell'America Meridionale entro il 1O.OOO a.C..




Sulla consistenza demografica della popolazione del Nuovo Mondo non c'è accordo fra gli antropologi, che hanno dato stime variabili da un minimo di 84 milioni a un massimo di 112 milioni di abitanti. Un errore di stima del 5O% sarebbe già un buon risultato, considerata la scarsità e le frequenti distorsioni delle prime fonti e l'impossibilità di valutare l'impatto delle nuove malattie. Gli studiosi che sostengono i valori più elevati hanno affermato che le nuove malattie (vaiolo, morbillo, digerite, pertosse, influenza e forse la febbre gialla e la malaria) introdotte in America dagli europei possono aver causato la morte di oltre 8O milioni di persone.




È certo comunque che le popolazioni indigene subirono un forte declino nei secoli successivi al contatto con gli europei. Solo nel sec. XX le popolazioni indiane di quasi tutti i paesi delle Americhe hanno ripreso ad aumentare in parte per effetto del declino del tasso di mortalità infantile.




I contributi degli indigeni americani alla cultura mondiale.




La scoperta del Nuovo Mondo generò un processo di rivitalizzazione della cultura europea che avrebbe condotto alla rivoluzione industriale e alla ricerca di materie prime e mercati, che a sua volta doveva produrre il colonialismo europee, su scala mondiale. Il contributo delle Americhe alla cultura mondiale comprende il tabacco, la gomma, una nuova specie di cotone centinaia di nuove piante medicinali, il tacchino, il toboga, i mocassini, le calzature da neve e numerosi altri beni materiali di minore importanza. Ma il maggior contributo americano al Vecchio Mondo fu probabilmente l'addomesticazione di moltissime piante alimentari in precedenza ignote: delle centinaia di specie vegetali coltivate dagli Indiani, più di 5O hanno oggi grandissima importanza in tutto il mondo: il granturco, i fagioli, le patate la manioca (detta anche cassava o yucca) e le patate dolci sono divenute l'elemento fondamentale dell'alimentazione per vari popoli di tutti i continenti. Il pomodoro, il peperoncino, il cacao, l'ananas, la zucca, il carciofo, I'anacardio e lo zucchero d'acero sono altri importanti generi vegetali coltivati per la prima volta dagli indigeni americani.














LA CULTURA TRADIZIONALE DEGLI INDIGENI AMERICANI




La storia delle culture indigene americane viene spesso suddivisa in un periodo precolombiano e uno postcolombiano. Sebbene questa divisione cronologica si riferisca letteralmente all'arrivo di Cristoforo Colombo, essa viene generalmente usata per indicare le epoche precedente e successiva alla conquista europea dei territori indiani. Il termine precolombiano viene usato particolarmente in riferimento alle culture delle prime regioni dominate dagli europei, ossia i Caraibi, il Messico e il Perú. Ma la maggior parte dei territori americani caddero sotto il dominio europeo molto più tardi, sebbene la presenza europea influenzasse spesso le varie regioni prima della loro effettiva colonizzazione. Questa successione di avvenimenti si è verificata in particolare nelle zone boscose dell'America Meridionale, dove fiorì tutto un commercio di pelli organizzato dagli europei e nelle Grandi Pianure, dove l'introduzione del cavallo sconvolse completamente il modo di vita degli abitanti indigeni.




Unità sociali e politiche.




La grande maggioranza delle società che abitavano la maggior parte del Nuovo Mondo prima del contatto con gli europei erano formate da bande nomadi di 2O-5O persone che vivevano della caccia e della raccolta di piante selvatiche. Queste culture erano in genere caratterizzate da una tecnologia elementare, da un sistema di insediamenti dispersi basato sull'occupazione stagionale di località situate in prossimità delle risorse alimentari, da una leadership consensuale esercitata dagli anziani, per lo più di sesso maschile e da scarsi legami con un territorio preciso. Queste società organizzate per bande erano in genere pacifiche la maggior parte del tempo.




Intorno a 9OOO anni fa, alcuni popoli indigeni americani cominciarono a coltivare talune piante per integrare i cibi selvatici. Al tempo dell'arrivo degli europei, l'uso del granturco dei fagioli, della zucca, integrati localmente dalla manioca, dalla patata e da cereali di montagna come la quinoa, era ampiamente diffuso nelle regioni che ne consentivano la coltivazione. Questi prodotti erano in genere coltivati su piccoli appezzamenti di terreno, con la semplice tecnica del taglia-e-brucia e senza l'uso di irrigazione o di altre tecniche più progredite: si trattava di rimuovere e bruciare tutta la vegetazione naturale, prima di procedere alla semina con l'aiuto del bastone da scavo o della zappa, i due strumenti fondamentali dell'orticoltura americana.




I gruppi dediti all'orticoltura vivevano in tribù di dimensioni variabili dai 1OO ai 1OOO individui che tendevano a costruire case e villaggi relativamente permanenti, con capi legati alle organizzazioni di lignaggio o di clan. Le società tribali di questo tipo avevano in genere vari artigiani specializzati e un considerevole apparato di oggetti materiali a scopo utilitario o rituale. Faide, incursioni e guerre fra tribù erano frequenti, in parte a causa delle tendenze espansionistiche di questi popoli e della loro conseguente incapacità di prevedere le intenzioni di vicini sconosciuti. Le guerre erano spesso combattute per vendetta o per prevenire le incursioni avversarie.




Solo in Messico, in America Centrale e nelle Ande centrali (zone complessivamente indicate dagli antropologi col termine America nucleare) si ebbero culture che disponevano di tecniche agricole più avanzate (come l'irrigazione, il terrazzamento e la concimazione) che producevano un surplus sufficiente a consentire la formazione di centri urbani. Gli Aztechi, gli Inca e i Maya raggiunsero i più alti livelli di sviluppo sociopolitico dell'America precolombiana, caratterizzate da stati che contavano da migliaia a milioni di cittadini, gerarchicamente organizzati in caste e classi. Fra gli altri caratteri della civiltà dell'America nucleare vi erano i complessi sacerdote-idolo- tempio i mercati destinati a facilitare la redistribuzione dei beni e della ricchezza e i metodi di mobilitazione della forza lavoro a fini pubblici, ivi compreso il servizio militare: la guerra era infatti spesso il fondamento stesso della vita collettiva. I monarchi assoluti le aristocrazie privilegiate, i complessi edifici statali religiosi e civili e l'espansionismo militare sono tutti caratteri che contraddistinguono le civiltà dell'America nucleare, facendone l'equivalente funzionale di quelle che apparvero nel Vicino oriente, dalle quali derivò poi la cultura europea.




La parentela.




La grande maggioranza delle società indigene americane erano organizzate sulla base della parentela: solo nell'America nucleare e nelle zone adiacenti si ebbero importanti associazioni non basate sulla parentela e forme di stratificazione sociale. Lignaggi e clan esistevano in molte aree culturali americane, in particolare nelle foreste orientali dell'America Settentrionale, fra i Pueblo occidentali e in Amazzonia. Assai diffusa era anche la divisione delle società in metà reciproche, con funzioni cerimoniali, matrimoniali e competitive. Le donne si sposavano di solito nella prima adolescenza, poco dopo le prime mestruazioni e spesso con uomini più anziani. Le attività sessuali prematrimoniali erano di solito consentite e a volte addirittura quasi obbligatorie: alcune società, tuttavia, come gli CHEYENNE delle Grandi Pianure, imponevano la castità a tutti gli individui non sposati. L'adulterio era spesso duramente punito. Il tabù dell'incesto proibiva i rapporti sessuali e il matrimonio fra i parenti stretti e non di rado fra parenti di qualsiasi tipo. Molte società praticavano il matrimonio fra cugini incrociati, di solito in concomitanza con organizzazioni di clan o di lignaggio. Il matrimonio con la vedova del fratello (levitato) e quello col marito della sorella (sororato) erano usanze diffuse presso molti popoli.




La maggior parte delle culture indigene americane incoraggiava la poliginia, ossia il matrimonio dell'uomo con due o più donne, ma la monogamia era più diffusa nella pratica. La residenza postmatrimoniale era fissata di solito presso la famiglia del marito ma nell'est dell'America Settentrionale, nel Sud-ovest degli attuali Stati Uniti e nei Caraibi era frequente la residenza con la famiglia della sposa. La trasmissione ereditaria era in linea maschile o femminile a seconda della residenza postmatrimoniale adottata.




Alimentazione e metodi di sussistenza.




La maggior parte delle culture indigene americane si affidava essenzialmente, per la sussistenza, alla raccolta di piante selvatiche. I prodotti animali costituivano raramente qualcosa di più che una semplice integrazione dell'alimentazione a base di vegetali; fra le eccezioni a questa regola vi erano gli Inuit (ESCHIMESI) e altri popoli subartici nonché i raccoglitori di frutti di mare delle coste. Fra i piú importanti cibi vegetali dell'America Settentrionale vi erano le ghiande, i pinoli, le noci, i frutti dello hickory e altri frutti secchi; varie erbe e semi (fra cui l'amaranto il girasole e le salvie). radici, tuberi e bulbi (cipolla, patata indiana, stancia); dozzine di specie di frutti e bacche. e il riso selvatico. Le regioni desertiche offrivano l'aloe, le opunzie e molte altre piante commestibili xerofite. Nell'America Meridionale le piante fornivano frutta, cuori di palma, midollo di palma, birra e lance. Fra le altre piante commestibili sudamericane si annoverano la carruba, il chanar e, in alcune zone paludose come l'alta valle del Paraguay, il riso selvatico. Molte piante commestibili richiedevano complicati processi di lavorazione per rimuovere le sostanze nocive (come il tannino delle ghiande o l'acido prussico della manioca).




Il cibo animale più diffuso era costituito senza dubbio dai frutti di mare, come dimostrano i ritrovamenti di immensi cumuli di conchiglie compiuti dagli archeologi sulle sponde dei fiumi e sulle coste marine di tutto l'emisfero. La maggior parte dei raccoglitori mangiavano piccoli animali (insetti, larve, vermi serpenti, uova di uccelli roditori) assai più spesso che non i più ambiti ma rari animali di grosse dimensioni. Nell'America Meridionale le più importanti prede di grosse dimensioni erano animali della famiglia dei cammelli (lama, alpaca, guanaco e vigogna), seguiti dai pecari, i tapiri, i formichieri, le scimmie, le iguane, i felini, gli alligatori i coccodrilli e i mammiferi di acqua dolce e salata. Due o più specie di cervi comuni anche in alcune parti dell'America Meridionale, erano gli animali più cacciati dell'America Settentrionale. Qui si trovavano anche consistenti mandrie regionali di bisonti e caribù, piccole mandrie locali di alci wapiti e di antilopi, ovini e caprini selvatici, orsi neri e bruni, tassi, procioni, opossum, ghiottoni e molti altri animali da caccia.




I pesci di acqua dolce e salata, specie delle varietà anadrome (come i salmoni, le trote o il pesce persico) fornivano cibo abbondante ai popoli delle coste più a nord dell'America Settentrionale e a quelli dell'Amazzonia. Si pescava con l'amo, con la rete o con trappole, nonché col veleno, impiegando più di 5O diversi veleni vegetali, soprattutto nell'America Meridionale. Anche gli uccelli contribuivano all'alimentazione, particolarmente per i popoli che vivevano lungo le rotte migratorie o presso i luoghi di concentrazione estivi o invernali.




Per la maggior parte delle culture indiane, la raccolta consentiva alle popolazioni di sopravvivere la maggior parte delle annate, a volte procurava l'abbondanza, ma in alcuni casi condannava alla penuria e perfino alla morte per fame. Le cattive annate (particolarmente quando ne capitavano due o più di seguito) limitavano sensibilmente lo sviluppo demografico della maggior parte delle società americane.




Considerevoli aumenti demografici si ebbero tuttavia in varie parti dell'America nucleare, dove la domesticazione delle piante era iniziata circa 9OOO anni fa.




Nel 1492 numerosi popoli dell'America nucleare dipendevano ormai quasi esclusivamente dalla coltivazione. Centinaia di specie vegetali furono addomesticate non soltanto a fini alimentari, ma anche per essere impiegate come materie prime (come il cotone Rima), come veleni o come allucinogeni e stimolanti. Le piante addomesticate e le tecniche agricole si diffusero gradualmente nelle altre parti delle Americhe, sebbene gli altri coltivatori del Nuovo Mondo come quelli della foresta tropicale dell'America Meridionale e delle zone meridionali dell'America Settentrionale, continuassero in genere a integrare la coltivazione con le antiche tecniche di raccolta.




Allucinogeni e stimolanti.




Il tabacco era la pianta coltivata più diffusa nell'America precolombiana ed era coltivato anche da raccoglitori che non avevano alcuna altra pianta domestica. Era usato principalmente dagli uomini a scopo cerimoniale e veniva fumato, masticato, fiutato o somministrato per clistere. La datura era la seconda pianta psicotropica per diffusione nell'America Settentrionale ed era usata principalmente nell'ovest, specie in California. In Messico e nell'America Centrale si usavano il peyote, il mescal, varie specie di funghi chiamati tecnanacatl e un seme detto ololiuqui. La coca, da cui si estrae la cocaina, era coltivata nelle Ande orientali, dove è ancora diffusa la masticazione delle sue foglie. In Amazzonia erano conosciute numerose piante allucinogene.




Prima dell'introduzione della distillazione si conoscevano in America soltanto le birre e i vini. I tipi principali erano la birra di mais e varie bevande alcooliche fermentate, ricavate dalla manioca, dall'agave, dal sotol, dal mesquite, dal saguaro e dai cachi.




Tecniche di caccia, coltivazione e cottura dei cibi.




La più diffusa arma da caccia era l'arco, di cui esistevano numerose varietà, ma si usavano anche lance, arpioni, atiatl (sorta di lanciadardi), clave, bolas e fionde. Le cerbottane coi dardi avvelenati erano usate nelle zone orientali dell'America Settentrionale, nei Caraibi e in Amazzonia. Le frecce avvelenate erano assai diffuse nelle foreste tropicali dell'America Meridionale; si impiegavano anche reti, trappole a fossa, lacci e cani.




Gli agricoltori preparavano i campi tagliando gli alberi con asce di pietra oppure bruciandoli. Strumenti della coltivazione erano bastoni acuminati, semplici zappe e il lavoro dell'uomo. Nell'America nucleare si svilupparono complesse opere di irrigazione (con canali e dighe) e terrazzamenti; furono inoltre impiegati come fertilizzanti le urine, il potassio e il guano.




I cibi venivano bolliti, arrostiti, cotti alla brace o in forni di terra preriscaldati. Un altro sistema di cottura ampiamente praticato consisteva nel gettare sassi arroventati nei cibi liquidi contenuti in recipienti di pietra o in canestri impermeabili. Per la conservazione, i cibi venivano essiccati, affumicati, salati o conservati in recipienti riempiti di grasso animale (pemmican); nelle zone artiche e subartiche i cibi venivano semplicemente lasciati congelare. Il sale era un bene assai importante, ricercato attraverso il commercio, specie dai popoli che praticavano l'orticoltura.




Abitazioni e architettura.




I semplici raccoglitori avevano in genere ripari fatti di sterpaglie o piccole tende portatili, o tende più grandi fatte di pali e corteccia o pelli. Vari popoli artici o subartici avevano abitazioni seminterrato, mentre i coltivatori dell'America Settentrionale e Meridionale avevano abitazioni rettangolari per una o più famiglie, con struttura di pali e travi. In Amazzonia, e presso alcune tribù del Nord-Est dell'America Settentrionale si usavano grandi strutture rettangolari (le "case lunghe"), che ospitavano interi lignaggi o tribù. Nel Sud-ovest degli attuali Stati Uniti, gli ANASAZI, probabili antenati dei PUEBLO, costruirono grandi abitazioni-appartamento, spesso a vari piani, In pietra, argilla e travi di legno.




Templi e tumuli sepolcrali furono costruiti in gran numero nell'America nucleare, nonché nell'America Settentrionale, nelle foreste orientali e nel Sud-ovest. A est del Mississippi si trovano i resti di circa 1OO.OOO tumuli, che variano da poche spanne di altezza alle grandi dimensioni di quello di Cabokia (Missouri), con una base di 6,5 ettari e alto 3O m. Ma i più spettacolari monumenti dell'architettura precolombiana si trovano nell'America nucleare, dove furono costruite imponenti città con piramidi, templi, palazzi, conventi, edifici pubblici e osservatori astronomici.




Vestiario e ornamenti personali.




A eccezione dell'America nucleare e dell'estremo nord, la maggior parte degli indigeni americani usava un vestiario estremamente semplice, composto solo da perizoma, pelli o mantelli di stoffa. Prima dell'introduzione dell'ago, solo gli Eschimesi e i loro vicini avevano abiti tagliati e cuciti. Fra i materiali usati per il vestiario nell'America Settentrionale erano comuni le pelli di cervo conciate, le pelli di bisonte le pellicce di vari animali di piccola taglia, nonché, specie sulla costa del Pacifico settentrionale e in California le penne la corteccia e vari altri materiali vegetali. Il cotone tessuto era il materiale più diffuso nel sud-ovest e in buona parte dell'America Centrale, dove gli abiti riflettevano spesso la condizione sociale di chi li portava. Molte tribù nordamericane calzavano mocassini, mentre nel sud-ovest e nel Gran Bacino erano diffusi i sandali, fatti di varie fibre vegetali. Nella Mesoamerica e in alcune parti dell'America Meridionale si usavano anche sandali di cuoio.




A fini ornamentali o di qualificazione sociale, molti gruppi praticavano la pittura corporea e il tatuaggio, e la deformazione del cranio o dei denti; diffuso era anche l'impiego di ornamenti nasali o labiali, di anelli, orecchini, bracciali, collane e vari copricapi ornamentali.




Metallurgia artigianato e arte.




A partire dal 3OOO a.C., è testimoniata la lavorazione del rame a freddo per produrre armi o oggetti rituali: questa pratica aveva ampia diffusione, specie nella regione nordamericana dei Grandi Laghi. Nel 5OO d.C. era praticata in Ecuador e in altre parti dell'America nucleare la lavorazione di vari metalli: oro, argento, rame, venivano fusi, saldati, indorati e uniti in varie leghe. leghe di rame e piombo apparvero intorno alla stessa epoca in Messico. Il bronzo era usato in Bolivia almeno dal 11OO d.C., ma gli indigeni americani non conobbero mai l'uso del ferro fino al contatto con gli europei.




In tutto il territorio americano gli artigiani indigeni adornavano gli attrezzi i recipienti, le abitazioni e a volte anche la persona umana con artistici disegni e decorazioni. Le tradizioni locali della pittura, della scultura, della ceramica dell'oreficeria, della tessitura e della decorazione architettonica erano ben consolidate in varie parti dell'America Settentrionale.




Nell'America nucleare, le biblioteche degli Aztechi, degli Inca e dei Maya contenevano migliaia di volumi illustrati detti codici, che registravano le conoscenze tradizionali. Gli invasori spagnoli distrussero sistematicamente questi manoscritti, da loro considerati opera del demonio. Lavorando sulle pareti in bassorilievo, sulla pietra a tutto tondo o sulle pietre semipreziose (giada, turchese, serpentina, ambra e altre) gli artisti di queste e altre culture precolombiane produssero oggetti d'arte figurativa o astratta che si annoverano fra le più alte produzioni artistiche dell'umanità.




La musica tradizionale era in genere di tipo ritmico e monofonico e veniva suonata o cantata dagli uomini nelle occasioni rituali o sociali. L'armonia era assente e le scale erano in genere pentatoniche. I testi avevano in genere un significato simbolico, ma non morfemico e le canzoni duravano di solito meno di tre minuti. Fra gli strumenti musicali indiani vi erano tamburi, sonagli, nacchere e vari strumenti a percussione, nonché flauti, fischietti e trombe di conchiglie.




Politica e guerra.




Il livello di complessità politica delle società indigene americane era generalmente in diretto rapporto con il modo di produzione del cibo: fra i raccoglitori, la leadership si esprimeva di solito in una figura di capo, assai rispettato, ma con scarsi poteri effettivi. I primitivi coltivatori e, dopo il contatto con gli europei, molti popoli di raccoglitori (specialmente quelli che divennero nomadi con l'introduzione del cavallo) elevavano i capi militari più capaci e gli sciamani (capi religiosi a tempo parziale) a posizioni di potere in tempo di guerra.




Un vero governo centralizzato si ebbe soltanto nell'America nucleare e nelle regioni adiacenti, dove capi privilegiati o re, consigli di nobili o sacerdoti detennero il potere assoluto su migliaia di sudditi. Nelle complesse società politiche dell'America Centrale e delle Ande, la guerra era piuttosto frequente: eserciti organizzati di migliaia di persone sottoposte a una guida centralizzata combattevano un tipo di guerra del tutto sconosciuto nelle altre parti delle Americhe.




Le società di raccoglitori erano caratterizzate da una relativa pacificità, resa possibile dalla bassa densità della popolazione, dagli stretti legami di parentela con le genti vicine e da un modo di impiego delle risorse che non favoriva I conflitti. Si verificavano faide causate da gelosie sessuali o da accuse di stregoneria, ma esse coinvolgevano di solito un numero limitato di persone ed erano di breve durata. I coltivatori più semplici e i nomadi equestri, per contro, che avevano investimenti in campi coltivati, provviste e bestiame, si impegnavano in conflitti frequenti e spesso sanguinosi. Vari popoli delle Grandi Pianure, delle Pampas, dell'Amazzonia e delle foreste orientali nordamericane furono, in certi periodi fra i gruppi più bellicosi conosciuti sulla Terra: erano continuamente in guerra con tutti i popoli con cui non avevano un'alleanza diretta e immediata.




La religione e il soprannaturale.




Il sistema di vita tradizionale degli indigeni americani era caratterizzato da credenze e pratiche che nascevano dall'accettazione di un universo controllato da esseri e forze soprannaturali, in cui gli uomini avevano comunque un ruolo subordinato. Tutte le culture credevano nell'anima, nell'esistenza di spiriti animistici che occupavano oggetti naturali (pietre, alberi, forme particolari del paesaggio, sorgenti, laghi, fulmini), nonché in esseri creatori potenti e distanti e, talvolta, in numerosi altri esseri divini più vicini all'uomo.




Nella maggior parte delle culture, gli esseri soprannaturali più importanti erano gli spiriti buoni e cattivi capaci di influenzare i risultati della caccia, del gioco d'azzardo, delle lotte o le vicende dell'amore, della salute e altro. Questi spiriti potevano abitare in caverne o foreste, o in canyon profondi, alte montagne, animali e perfino altre persone. Per avere successo nella vita, l'indigeno americano doveva continuamente salvaguardare l'equilibrio fra le forze soprannaturali e i bisogni umani, equilibrio reso difficile dalla presenza degli spiriti cattivi. Le anime dei morti erano spesso ritenute i più maligni degli spiriti.




Quasi tutte le culture tradizionali americane credevano in. una forza soprannaturale diffusa che gli antropologi chiamano MANA. Il potere di questa forza veniva evocato attraverso le cerimonie la ricerca della visione l'ascesi o la mutilazione, gli stati di allucinazione, le droghe i sogni o il controllo di potenti entità naturali capaci di conferire il potere o "medicina". Si riteneva che molti animali o oggetti naturali possedessero questa forza e, se oltraggiati dagli esseri umani, potessero causare foruncoli, malattie mestruazioni dolorose, incidenti sventure e perfino la morte. Molti fenomeni normali erano circondati da tabù: la nascita, la pubertà, i rapporti sessuali la guerra e la caccia, richiedevano sempre particolari precauzioni.




I Sioux, per esempio, credevano che l'uomo non potesse riuscire a niente senza il potere, che con esso quasi tutto fosse possibile. Il potere era concepito come una forza che emanava dal carattere soprannaturale di cui l'uomo poteva essere dotato. A pochi esso toccava naturalmente [...] Wakan Tanka, il Grande Mistero, penetrava tutto con la sua onnipotenza. La sua energia, tuttavia, era disseminata in una miriade di soprannaturali inferiori, che trovavano corpo in molte specie viventi [...]. L'aquila, il falco, la rondine, l'alce, il daino, il bisonte: ciascuno possedeva un potere specifico, ognuno rappresentava una particolare deità [...].




Attraverso questi intermediari, se non direttamente da Wakan Tanka, l'uomo riceveva il potere.









Cerimonie.




Tutte le culture tradizionali americane possedevano tecniche di ordine soprannaturale con cui affrontare gli eventi imprevedibili della vita. Per curare le malattie si consultavano di solito gli sciamani, capi religiosi che esercitavano questa attività accanto alle normali attività di lavoro. Essi massaggiavano, danzavano, cantavano, fumavano tabacco o prendevano droghe allo scopo di ritrovare, con l'aiuto degli spiriti alleati, la causa del male, considerato in genere effetto della perdita dell'anima o dell'intrusione di un oggetto esterno. L'origine della malattia veniva quasi sempre attribuita alla stregoneria, anche se in quasi nessuna cultura tradizionale americana esistevano individui che tentavano di praticare la stregoneria per danneggiare gli altri.




Oltre ai riti legati alla medicina, vi erano riti di passaggio (nascita, pubertà, matrimonio morte) riti di crisi associati alla guerra, alla pioggia e ad altri fenomeni naturali, e riti di preservazione (propiziazione del sole, della luna degli animali e di altre forze) miranti ad assicurare l'armonia fra gli uomini e tutti gli altri elementi dell'universo.




I sacerdoti fungevano da interpreti e intermediari nel ricco complesso cerimoniale dell'America nucleare. Le cerimonie pubbliche, spesso celebrate in cima ai templi-piramidi o all'interno di grandiosi edifici pubblici, erano destinate a perpetuare il potere dei capi. I sacerdoti provenivano di solito dalle classi superiori erano istruiti e custodivano non solo le conoscenze teologiche e rituali, ma anche quelle tecniche e scientifiche. La loro classe fu sistematicamente sterminata dagli spagnoli.


Lo Scalping


Il termine scalp non è indiano come si potrebbe credere, ma deriva dal verbo inglese to scalp, che significa "scotennare" cioè togliere ad una persona la capigliatura. Non tutti gli indiani praticavano lo scalping, anzi si ritiene che esso non fosse molto diffuso in America prima dell'arrivo dei bianchi. Pare infatti che questo uso venisse praticato solo dagli Irochesi, dai Creek e da alcune tribù orientali loro alleate, questi popoli tagliavano spesso l'intera testa dei nemici uccisi, e ciò ne spiegherebbe l'origine nel culto della testa o del cranio assai comune nelle culture indiane dell'America centrale.




Secondo alcuni storici, lo scalping si diffuse quando i coloni e il governo cominciarono a offrire ricompense per gli scalp degli indiani ostili; è opportuno aggiungere che lo scalp veniva strappato sia dagli indiani sia dai bianchi. Nella mente di molte persone l'uso dello scalping viene associato agli indiani dell'America settentrionale, ma Erodoto afferma che gli antichi Sciti "scalpavano" i loro nemici dell'Asia Minore. Gli indiani d'America resero lo scalping un uso cerimoniale e religioso: alcuni offrivano gli scalp dei nemici ai loro dei, altri effettuavano Danze dello scalp cerimoniali.




Inizialmente gli indiani non si curavano degli scalp dei bianchi, preferendo quelli di indiani nemici. Gli indiani delle Pianure non scalpavano i negri — i Soldati Bisonte, come li chiamavano —perché i loro capelli crespi ricordavano il pelame del bisonte. Gli indiani Pima non scalpavano gli Apache.




Lo scalping non sempre era un'operazione mortale. Molte volte gli indiani scalpavano nemici vivi e li lasciavano tornare alle rispettive tribù coperti di vergogna. Alcuni bianchi scalpati sopravvissero e poterono raccontare l'esperienza. Il guerriero che uccideva un nemico raramente lo scalpava.




Presso gli indiani delle Pianure, toccare un nemico vivo con un bastone o con la mano nuda (si diceva "contare un colpo") era considerato un atto di coraggio molto più grande che scalparlo. Quando un guerriero uccideva un nemico, poteva lasciare il compito di prendere il suo scalp ad altri. Diversi guerrieri prendevano solo una parte dello scalp di un nemico caduto, oppure gli strappavano l'intera capigliatura ma solo per dividerla in seguito con altri. Contrariamente a quanto pensavano i bianchi, la fama e la gloria di un guerriero non si misuravano dal numero degli scalp che aveva preso.




La lingua e le aree culturali dell'America indigena.




I popoli indigeni americani parlavano più di 2OOO lingue distinte al tempo del contatto con gli europei. Di queste, circa 14OO erano usate nell'America Meridionale e circa 2OO erano concentrate nel territorio dell'attuale California. Tutte le lingue americane avevano un loro sistema fonologico, migliaia di unità significanti (morfemi) e un sistema di regole sintattiche. Solo nel Messico precolombiano si sviluppò una scrittura geroglifica, mentre la scrittura fonetico-fonemica non fu mai inventata nelle Americhe prima del contatto con gli europei.




Poche persone che non fossero indigeni americani sono i riuscite a imparare le lingue indiane, in parte a causa della difficoltà dei suoni e della peculiarità dei sistemi grammaticali. Tuttavia non vi è alcun carattere delle lingue americane che non trovi un parallelo nelle lingue delle altre parti del mondo. Con l'eccezione della lingua eschimese-aleutina, che appartiene a una famiglia linguistica della Siberia nord-orientale, non è mai stato individuato alcun preciso legame fra le lingue americane e quelle del Vecchio Mondo. La classificazione in famiglie delle numerose lingue americane è ancora in discussione. Nel 1891 John Wesley Powell propose una classificazione in 57 famiglie per l'America Settentrionale mentre D.C. Brinton all'incirca nello stesso periodo, ne contò 6O nell'America Meridionale. Da allora, gli antropologi hanno ridotto il numero delle famiglie linguistiche non imparentate a circa una dozzina nell'America Settentrionale e addirittura a quattro nell'America Meridionale.




Le lingue indigene parlate oggi sono circa 5OO. In Paraguay, il 95% degli abitanti parla il guarani, che è lingua ufficiale insieme allo spagnolo: le lingue indigene hanno ampia diffusione anche in Perú (quecLua) e in Groenlandia (inuit). I Navaho sono il gruppo più numeroso che parli una lingua indigena a nord del Messico. Molti governi nazionali, tuttavia, hanno scoraggiato l'uso di tali idiomi in tutto il continente ed è probabile che il numero delle lingue indigene parlate si riduca di molto in un prossimo futuro.




Gli americani originari arrivarono dall'Asia nord-orientale decine di migliaia di anni fa. Si ritiene che gruppi provenienti dall'Asia sud-orientale possano aver raggiunto la sponda nord-occidentale dell'America Meridionale (Valdivia, Ecuador) intorno al 36OO a.C. e che i Vichinghi abbiano fondato pochi insediamenti sull'isola di Terranova intorno al 1OOO d.C. Gli esperti sono tuttavia concordi nel ritenere che la cultura americana si sviluppò in loco e i tentativi di farne risalire le origini a fonti esterne si sono rivelati erronei.




I primi americani trovarono una grande abbondanza di cibo, sia animale che vegetale. Le specie animali cacciate, molte delle quali numerose e di grandi dimensioni erano centinaia. I resti di questi animali, occasionalmente associati a strumenti in pietra come a Folsom nel Nuovo Messico, forniscono la migliore testimonianza delle culture paleoindiane. Circa 1O.OOO anni fa si estinsero oltre 50 specie di grandi animali da caccia: alcuni archeologi ne attribuiscono la scomparsa alla caccia altri ai mutamenti climatici. In ogni caso, col diminuire delle prede cacciabili, gli uomini si affidarono per la sussistenza prevalentemente ai prodotti locali, in particolare alle piante commestibili. Nuovi strumenti per la lavorazione di cibi (mano e metate, pestello e mortaio ecc.) resero disponibili nuovi alimenti e a poco a poco si sviluppò un sistema di adattamenti regionali che avrebbe caratterizzato varie parti dell'America indigena fino all'arrivo degli europei.









I rapporti con l’uomo bianco


"il solo indiano buono é l'indiano morto"


Gli Stati Uniti avevano ereditato il problema indiano dai governi coloniali. In che consisteva? Molto semplice: gli indiani esistevano e non si sapeva cosa farne. Per gli spagnoli e i francesi essi avevano rappresentato una ricchezza viva: quella della forza lavoro, che sarebbe stato sciocco non utilizzare o distruggere. La colonizzazione inglese viceversa fu impostata subito in modo da escluderli da qualunque partecipazione. Basato sull'agricoltura e il commercio e con una disponibilità di braccia che cresceva ogni anno, il sistema coloniale anglosassone non sapeva che farsene dei nativi; né questi avevano la minima inclinazione al lavoro dei campi. Il mais che consumavano lo facevano coltivare dalle donne; erano cacciatori, gente dei boschi, liberi, fieri e mai avrebbero accettato di diventare braccianti agricoli salariati. La barriera culturale e la barriera razziale, sommate alle circostanze storiche, divisero fin dai primi anni della conquista bianchi e rossi, nelle colonie di Sua Maestà Britannica.




Dai rossi i bianchi volevano solo la terra. Da principio erano troppo pochi per prendersela con la forza, e inoltre avevano una mentalità legalistica. La terra volevano comprarla (pagandola, naturalmente, il meno possibile) ed essere con le carte in regola. Le carte rappresentano la coscienza dei mercanti.




Il rum li aiutò a convincere i capi indiani che non capivano nulla di transazioni terriere e di proprietà immobiliare privata. Per i pellerossa la terra era come l'aria, come l'acqua: un dono del Grande Spirito che ne aveva creata abbastanza perché ogni popolo potesse prenderne quanta gliene occorreva.




Ma gli inglesi - che gli indiani chiamavano yankees, come i primi olandesi (janbe) sbarcati nel Nord-Est - di terra ne volevano sempre di più per i nuovi che arrivavano dal mare, e gli indiani avevano cominciato a preoccuparsi, a nicchiare, a puntare i piedi. A forza di comprare, gli stranieri stavano buttando le tribù una a ridosso dell'altra e la eccessiva vicinanza produceva attriti, litigi sempre più aspri, per non dire che la selvaggina diminuiva d'anno in anno. Fatto ancor più grave per l'orgoglio di gente libera, gli yankees pretendevano che rispettassero le loro leggi, controllavano la loro condotta, li punivano al minimo sgarro e trattavano i capi come bambini deficienti. Era troppo. I Pequots si ribellarono e vennero cancellati, come entità tribale, dalla faccia della terra. Poi fu la volta dei Wampanaog e anch'essi furono duramente castigati. Ma il primo di tutti a insorgere, in Virginia, nel 1662, era stato il capo Opechancanough, dei Powhatan. Sotto le asce dei suoi guerrieri erano caduti, in un solo giorno, 370 coloni. Senonchè il mare ne partoriva sempre di nuovi e nei due secoli successivi il tallone della razza bianca s'era fatto ancor più pesante. Poi, i coloni s'erano liberati del " Padre " loro che stava di là del mare e avevano fatto la repubblica. Cosa significava per gli indiani? Poteva cambiar qualcosa?




Le repubbliche nascono sempre gravide di nobili ideali di giustizia e quella americana non fece eccezione. E’ vero che ignorò il problema degli schiavi negri; ma mise in discussione quello indiano. Non c'era idea, allora, che la giovane Unione si sarebbe estesa fino al Pacifico. Terra ne aveva anche troppa, per le sue braccia, né la costituzione prevedeva accrescimenti territoriali. Thomas Jefferson dichiarava che il territorio nazionale sarebbe certo stato più che sufficiente per centinaia di generazioni di americani; dunque il problema indiano avrebbe potuto essere risolto secondo criteri di giustizia, soprattutto se gli indiani avessero collaborato, rinunciando alla vita nomade e dedicandosi solo all'agricoltura. I fisiocrati erano convinti - e con buone ragioni - che l'agricoltura fosse la base stessa del benessere e del progresso. " Lasciate che l'Europa ci mandi i suoi prodotti industriali in cambio dei nostri prodotti agricoli ", dicevano. " L'Unione americana deve diventare una repubblica di piccoli proprietari terrieri, liberi da servitù, virtuosi come gli antichi romani e felici di produrre il necessario alla vita con il loro lavoro". Non tutti, però, la pensavano allo stesso modo e, alla lunga, furono i contrari a prevalere.




Per gli indiani, la repubblica votò in pochi anni tre provvedimenti. In primo luogo riservò al governo federale l'autorità di trattare nuovi acquisti territoriali dagli indiani. Poi, istituì le riserve e le factories. Avocando al governo centrale la facoltà di nuovi acquisti territoriali dagli indigeni, il legislatore poneva in essere una finzione legale: quella di considerare le tribù native alla stregua di potenze straniere incastonate nei confini nazionali. Con le riserve intendeva metterle a salvo dall'intrusione abusiva dei bianchi. Infine, con le factories mirava a sottrarre gli sprovveduti figli della Natura alla cupidigia senza scrupoli dei mercanti. Le factories erano stabilimenti governativi collocati all'incrocio delle piste, dove gli indiani avrebbero potuto comprare dal governo, a prezzo di costo, i manufatti che essi non potevano produrre, in cambio delle loro pelli d'animali valutate ai prezzi di mercato.




Le factories risultarono la gamba debole del tripode, perché commerciando con gli indiani il governo si metteva in concorrenza con la libera iniziativa privata che era la base stessa dell'economia americana. I mercanti danneggiati sollevarono la questione costituzionale, strumentalizzando l'influenza del potente senatore del Missouri, Thomas Hart Benton, e non cessarono i loro attacchi finché, nel 1882, il governo non ebbe capitolato. Le factories vennero abolite. C'è da dire che agli indiani non piacevano. Gli impiegati governativi addetti agli scambi non facevano quei regalucci che erano d'obbligo, nell'etica indigena, in ogni transazione commerciale; non partecipavano ai problemi dei loro fratelli rossi, restavano staccati, superbi. I mercanti, invece, non dimenticavano mai i regali, andavano spesso a vivere nei villaggi indiani della foresta, e se è vero che li imbrogliavano, è anche vero che sposavano le loro figlie, partecipavano alla vita della tribù e non facevano mai mancare il conforto del rum, benché il governo lo vietasse. Dunque, le relazioni umane trascurate fecero fallire il migliore dei tre progetti.




Quanto alle riserve, col tempo, fu il governo stesso che dovette demolirle pezzo a pezzo. Il popolo non riconosceva agli indiani il diritto di proprietà, invadeva i loro territori; e quale governo elettivo avrebbe osato cacciare i suoi elettori dalla terra abusivamente occupata?




Gli indiani si difendevano nel solo modo che potevano: uccidendo gli intrusi, con una mostra di ferocia che aveva soprattutto la funzione d'intimidire quanti fossero tentati di imitarli; ma le rappresaglie, anch'esse spietate, erano la risposta invariabile del governo. Il problema doveva essere risolto separando le due razze ormai inconciliabili, e a questo si arrivò nel 1828.




Nel 1803, l'Unione aveva comprato dalla Francia di Napoleone la Louisiana occidentale; vale a dire le pianure estendentesi dal golfo del Messico al confine canadese, oltre il Mississippi. L'affare, concluso da Jefferson con una trattativa personale, al di sopra del congresso, non solo aveva messo in crisi la costituzione, che non prevedeva acquisti di territorio, ma s'era dimostrato, per quel che sembrava allora, un cattivo affare in quanto le ottocento e passa mila miglia quadrate acquisite s'erano rivelate un deserto semiarido, inadatto all'agricoltura. Perché non farne un Territorio Indiano dove trasferire le tribù dell'Est? Il progetto, presentato al Congresso dal presidente Monroe nel 1825 fu approvato nel 1828, quando s'insediò alla Casa Bianca Andrew Jackson. E " old Hickory " superò se stesso anche stavolta. Il governo gli aveva dato facoltà di trattare con gli indiani, non di cacciarli, ma egli non esitò a usare le baionette, quando e dove incontrò resistenza. I Cherokee che erano divenuti cristiani e agricoltori, per adeguarsi al modo di vivere dei visi pallidi, si appellarono alla Suprema Corte, che sentenziò in loro favore. Jackson ignorò la sentenza. I Seminole della Florida lottarono eroicamente per anni, decisi a non mollare le loro paludi, ma alla lunga dovettero cedere. Un tentativo di ritorno dei Sauk e Fox, già trasmigrati nell'oltre-Mississippi. fu rapidamente sventato con un piccolo massacro a Bad Axe (Illinois). E così l'America, nei primi anni quaranta, restò spartita tra le due razze. A est del Mississippi, dove la terra era buona, stavano i bianchi; a ovest, nel deserto, i rossi. Il problema era finalmente risolto.




L'illusione durò solo pochi anni. Nella prima metà del secolo scorso l'America era ancora un continente sconosciuto, misterioso, in gran parte da scoprire; e le scoperte, cambiando la realtà, cambiano anche le idee alla gente. Prima ancora che i Seminole fossero domati, gli americani avevano scoperto l'Oregon, grazie ai missionari metodisti. Nell'Oregon c'erano tribù indiane di poco conto, fra le più miserabili del continente, ma non furono queste che riproposero il problema: furono le tribù delle pianure, Cheyenne, Sioux, Pawnee, Arapaho, Piedi Neri, Corvi, Teste Piatte, al nord; Kiowa, Comanche, Apache delle pianure al sud, dove nel frattempo era nata una repubblica indipendente: quella del Texas.




Le carovane dirette all'Oregon, attraversando i territori indiani, producevano danni incalcolabili: abbattevano i pochi alberi lungo le rive dei fiumi; cacciavano i bisonti con le armi da fuoco, facendoli fuggire lontano, e i problemi alimentari degli indiani, già abbastanza ardui, si aggravavano. I danneggiati si rifacevano come potevano: razziando un po' del bestiame che gli emigranti si portavano appresso e uccidendo qualche cacciatore incauto che si fosse spinto troppo lontano dalla pista. In molti casi, i cacciatori si sperdevano nelle pianure per mancanza di punti di riferimento, andando a morir di fame e di sete chissà dove; ma quando uno non tornava se ne dava la colpa agli indiani. Nel 1851, il governo si decise a intervenire per proteggere gli emigranti e organizzò un grande convegno di tribù sull'Horse Creek, vicino a Fort Laramie. Fu il vecchio mountain man Tom " Mano rotta " Fitzpatrick, divenuto indian agent del distretto, a occuparsene. Vi intervennero, dozzina più dozzina meno, diecimila indiani di varie tribù e un accordo fu raggiunto. Gli indiani avrebbero lasciato libero un corridoio largo quaranta miglia, lungo la pista dell'Oregon, in cambio di risarcimenti annui in viveri, armi e mercanzie; ma quando i delegati governativi chiesero che nominassero un responsabile per tutti scossero la testa: non potevano.




I delegati di Washington ne dedussero che non avevano intenzione di rispettare l'accordo, e invano Tom " Mano rotta " tentò di spiegar loro che nessun capo indiano possedeva un'autorità globale sul popolo rosso, che la società indiana era perfettamente anarchica e i suoi capi semplici fiduciari che potevano soltanto consigliare il meglio, in base alla loro esperienza o in forza del prestigio personale. Il governo non avrebbe riconosciuto un trattato che non fosse firmato dalla controparte, e per non tornare a mani vuote attribuirono a un piccolo, insignificante capo dei Sioux Brulé - Orso Agitato - l'autorità che non aveva, ottenendo il suo consenso. Gli altri capi scossero la testa gravemente: " Non può funzionare ", dissero, e se ne tornarono alle loro sedi.




Non funzionò. Nel 1853, per una vacca smarrita da un emigrante mormone e uccisa da un Sioux Miniconjou, ospite dei Brulé, le cose precipitarono. Il mormone rifiutò l'indennizzo che gli venne offerto e si appellò all'autorità militare di Fort Laramie, facendone una questione di principio; l'indiano aveva violato il trattato del '51 e doveva essere arrestato. Orso Agitato fu convocato al forte e propose di rimettere la faccenda al suo indian agent, momentaneamente assente. Il mormone s'impuntò, insinuò che i soldati avevano paura di quattro pidocchiosi indiani.




Ci si mise di mezzo un tenentino fresco di nomina, chiamato Grattan, smanioso di dimostrare che non aveva paura nemmeno dell'intera nazione Dakota. Avrebbe arrestato lui il colpevole. Il comandante gli dette trenta uomini e un obice, raccomandandogli di usare il cervello, per evitare incidenti. Grattan marciò sul campo dei Brulé, sbraitò che voleva il colpevole entro due minuti e, non avendolo ottenuto, aprì il fuoco con l'obice sui capi raccolti a concilio. Il primo a cadere fu Orso Agitato, ma la reazione fu immediata e mezz'ora dopo, sul luogo, non restavano che i cadaveri di Grattan e dei suoi trenta soldati. Gli indiani, certi che la rappresaglia non sarebbe mancata, se n'erano andati chissà dove; ma dappoichè il guaio era fatto, prima d'andarsene avevano saccheggiato i magazzini del mercante autorizzato a fornir loro le merci governative, dopo averne ucciso i due addetti. La rappresaglia tardò un anno, ma arrivò, inevitabile. Che Grattan fosse il provocatore, che avesse disubbidito agli ordini, che fosse stato lui ad aprire il fuoco, non fu tenuto in conto. Quando il generale Harney arrivò con mille soldati i Brulé erano tornati vicino alla pista, ad Ash Hollow. In fondo, orso Agitato, il responsabile della pace aveva pagato con la vita, e non solo lui. Sembrava un conto chiuso. Ma il paese meno militarista del mondo era, fin d'allora, sensibile soprattutto alle lezioni inflitte alle sue forze armate. Harney pretendeva i responsabili dell'eccidio, non era venuto per chiarire chi avesse ragione o torto, ma per punire, e siccome i capi indiani insistevano sul loro buon diritto alla difesa, scatenò l'attacco. I morti furono più d'un centinaio, soprattutto donne e bambini falciati dalla cavalleria.




Fu soltanto dopo il massacro di Ash Hollow che le tribù dell'ovest impararono la lezione. E fu da quel giorno che le guerre indiane divennero inevitabili così come inevitabile fu il genocidio che seguì. Ma questa è un'altra storia.




Le guerre indiane




Nel 1868 esistevano circa 400 trattati fra il governo degli Stati Uniti e le diverse "nazioni" o popoli indiani. Entro la fine del secolo nemmeno uno rimase inviolato: negli ultimi decenni del 1800 i pellerossa si resero definitivamente conto che questi trattati costituivano strumenti legali destinati a spogliarli delle loro terre. Per questo si opposero ora eroicamente, ora ferocemente alla penetrazione dei coloni bianchi nei territori dell'Ovest. L'una dopo l'altra, le varie "nazioni" indiane si sollevarono contro l'invasione e vennero duramente represse: le tribù delle pianure del Sud nel 1874, i sioux delle praterie nel 1876, i nasi forati delle Montagne Rocciose nel 1877, i cheyennes nel 1878, gli ute l'anno successivo e gli apache per gran parte degli anni ottanta, fino alla resa di capo Geronimo (1829-1909) nel 1886. Queste guerre rappresentarono l'ultimo sterile sussulto di una stirpe da lungo tempo ormai sconfitta sia dal punto di vista logistico e militare, sia sotto il profilo psicologico. L'inarrestabile avanzata dei bianchi a discapito dei pellerossa non avvenne però soltanto per merito della superiorità delle loro armi e dei loro eserciti. Essa fu favorita dalle epidemie, di cui furono portatori i coloni, che decimarono non poche tra le tribù indiane, minando la loro capacità di resistenza. Inoltre, la spietata caccia al bisonte, che nel 1885 poteva essere considerato una specie in estinzione, ridusse gli indiani alla fame. I pellerossa della prateria basavano infatti la propria sussistenza sul bisonte, da cui traevano il cibo, gli indumenti e il materiale per le loro tende. Senza i bisonti, i pochi indiani sopravvissuti alle guerre e alle epidemie non furono più in grado di provvedere ai propri bisogni, ma divennero completamente dipendenti dall'uomo bianco.


1864: un anno di sangue


Nel 1864, mentre gli indiani delle pianure cercavano di reagire con la guerriglia alla penetrazione sempre più massiccia dei bianchi, il governo americano decise di prendersela anche con i Navajos, che erano rimasti pressoché indisturbati nel loro vasto territorio in Arizona e nel New Mexico. È da notare che appena due anni prima il Congresso aveva approvato il Decreto Homestead, con il quale si garantiva a ogni colono circa settanta ettari di territorio indiano dell'ovest, al prezzo di un dollaro e 25 cents l'ettaro. Si può facilmente immaginare l'effetto di questo "illuminato" procedimento. Anche i Navajos ne fecero, in parte, le spese. cosi cominciò la "lunga marcia" di circa 9OOO Navajos che vennero trasferiti da un posto all'altro per un po’ di tempo e, finalmente, tenuti per più di tre anni come prigionieri di guerra, in condizioni disumane a Fort Summer. Il 1864 fu un anno infausto per gli indiani del sud-ovest: i "volontari del Colorado", un reggimento di vigilantes guidati da un religioso (uno di quei religiosi assolutamente convinti che Dio sta sempre dalla loro parte), il reverendo colonnello Chivington, massacrò nel loro accampamento presso Sand Creek 45O vecchi, donne e bambini Arapaho e Cheyenne, sorpresi nel sonno da un attacco all'alba. Il pio colonnello fu accolto al suo ritorno a Denver come un glorioso trionfatore e la sua "epica" impresa era destinata a fare scuola.




Nel 1866 il Congresso americano approvò il Decreto dei Diritti Civili che garantiva uguali diritti a tutte le persone nate negli Stati Uniti, eccetto gli indiani e, nel 1867, con il Trattato di Medicine Lodge ebbe inizio il confinamento nelle riserve delle tribù delle grandi pianure. Appena un anno più tardi, nel 1868, dopo essere stati battuti in molti scontri dai Sioux e dagli Cheyennes, gli Stati Uniti decisero di fare la pace e fu firmato il Trattato di Fort Laramie. Questo trattato stabiliva, tra le altre cose, la grande riserva Sioux i cui territori di caccia comprendevano parte di sette stati. Nello stesso anno, malgrado la promessa "pax americana" un accampamento di Cheyenne e Arapahoes subi un feroce e ingiustificato attacco dalla cavalleria USA presso il fiume Washita. Venne ucciso Black Kettle, che invano cercò di proteggere la sua gente sventolando una bandiera a stelle e strisce e, con lui, furono massacrati oltre cento donne, vecchi e bambini. I "soldati blu", poi, per buona misura, abbatterono 875 cavalli appartenenti agli indiani. Il comandante americano era il colonnello George Armstrong Custer.




Nel 1871 il Congresso, ancora una volta in vena di occuparsi degli indiani, stabili che questi in sarebbero stati posti "sotto tutela" degli Stati Uniti. In altre parole, li si considerava dei bambini irresponsabili, incapaci di badare a se stessi. Per questo dovevano essere guidati e amministrati dall'Ufficio per gli Affari Indiani (BIA) e fu anche approvato un emendamento che proibiva la stipulazione di nuovi trattati con le tribù indiane.




I cacciatori bianchi, intanto, avevano cominciato lo sterminio sistematico delle mandrie di bisonti e persino i cimiteri indiani vennero invasi da cercatori di ossa per le manifatture dei bottoni. Poi ci fu l'invasione americana delle Black Hills (Colline Nere), luogo sacro alla cultura degli indiani delle pianure, che culminò nella battaglia di Little Big Horn il 25 giugno 1876. Qui una coalizione di Sioux, Cheyenne e Arapaho annientò il Settimo Cavalleria al comando di Custer. Crazy Horse (Cavallo Pazzo), capo degli Oglala, era tra i primi nella linea del combattimento ed esortava i suoi con il suo famoso grido: "Avanti, Lakotah, è un buon giorno per morire". Fu l'ultima vittoria indiana e fu anche l'inizio della fine.


Geronimo


È la mia terra, la mia casa la terra dei miei padri, alla quale chiedo di poter ritornare per passare i miei ultimi giorni ed essere seppellito tra quelle montagne. Se questo succederà, morirò in pace. Sapendo che il mio popolo, nella sua terra natale tornerà a crescere. E che il nostro nome non sarà dimenticato




L'Apache Geronimo si arrese, con i resti della sua banda, dopo anni di tenace guerriglia per conservare la libertà del suo popolo, nell'autunno del 1886. I prigionieri vennero trasferiti in un campo di concentramento nella Florida. Nel 1907 la terra che era stata promessa "per sempre", con la firma di solenni trattati, come territorio indiano per tutti i nativi senza casa, venne proclamata Stato dell'Oklahoma ed entrò a formar parte dell'Unione. Il lungo inganno era consumato. Geronimo mori due anni dopo, nel 1909, all'età di 80 anni. Gli Apache, che avevano il loro territorio nel New Mexico, in Arizona e nel nord della repubblica della Messico, erano un gruppo integrato da molte tribù, tra le quali le più importanti erano i Mescaleros, che si estendevano tra il Rio Grande e il Pecos fino dentro al Messico, i Chiricahua in Arizona e in Messico, i Jicarilla e i Mimbrenos. La guerriglia dei Chiricahua di Geronimo contro le truppe e gli invasori americani era stata lunga e piena di fasi alterne. Fu una guerriglia che si svolse tra canyons e montagne e venne interrotta da frequenti tregue e conferenze di pace. Durante queste ultime gli indiani ricevevano le abituali promesse solenni che venivano subito dimenticate. Quando la sua banda, affamata e al limite delle forze si arrese per l'ultima volta il 4 settembre 1886, la grande avventura degli Apache era finita. Insieme a Geronimo sì era arreso anche Naiche, il secondo dei grandi guerrieri Chiricahua, figlio di Cochise. Il treno che li trasportò in Florida li conduceva verso una vita di miseria e di stenti che essi in quel momento forse non immaginavano. Il treno era un po' il simbolo dell'uomo bianco e del suo potere, era il mostro di ferro che aveva tagliato in due il continente e separato le mandrie di bisonti. Dietro di loro gli Apache lasciarono i loro cavalli e i loro cani, alcuni dei quali rincorsero il convoglio, abbaiando lamentosamente, per una quarantina di chilometri. La storia di Cochise, Naiche e Geronimo fu dettata, da quest'ultimo, poco prima di morire, a un giornalista americano che ne ricavò un libro. È un racconto di lotte contro gli americani e anche contro le truppe messicane che comprende quasi mezzo secolo di vita. Narrando la sua resa finale Geronimo racconta come il generale Miles che conduceva le trattative gli disse: "Ci sono boschi, pascoli, parecchia acqua e molta terra dove vi manderemo. Vivrai lì con la tua tribù e la tua famiglia [...] mentre io vivrò non sarai mai arrestato". Allora, aggiunge Geronimo "accettai di consegnare le mie armi e dissi: "lascerò il sentiero di guerra e d'ora in avanti vivrò in pace"". Lo tennero in prigionia per otto anni.


L'ultimo massacro


Nel 189O, poco dopo l'assassinio di Toro Seduto da parte della "polizia indiana", una banda lacera e disperata di 3OO Sioux Minneconjou, condotta dal vecchio capo Big Foot, colpito così gravemente dalla tubercolosi da non poter montare a cavallo e dover essere trasportato su un travois, cercò di raggiungere l'Agenzia Indiana di Pine Ridge per ritirare le razioni di viveri che erano state loro promesse. Ma il recente assassinio di Toro Seduto aveva riempito gli indiani di sgomento e, allo stesso tempo, curiosamente, aveva messo in sospetto le truppe americane che controllavano ogni movimento dei Sioux. Nella loro marcia verso il sud Big Foot e la sua gente cercarono unicamente di tenersi lontani dai soldati, ma il 28 dicembre 189O, mentre la banda si trovava ai limiti delle Bad Lands, fu intercettata da circa 2OO uomini del Settimo Cavalleria. Si, era ancora una volta il Settimo Cavalleria: quello di Washita e di Little Big Horn. I soldati chiesero addirittura rinforzi, quantunque gli indiani non avessero manifestato alcuna intenzione ostile. Alla fine c'erano 47O soldati con una batteria di quattro nuovi cannoni Hotchkiss per controllare 3OO indiani dei quali solo 1O6 erano uomini in età di battersi. Il 29 dicembre il colonnello Forsyth che comandava le truppe si accinse a disarmare gli indiani che, dopo varie trattative, consegnarono alcuni fucili. Questo non bastò ai soldati che entrarono nell'accampamento e cominciarono a rovistare tra i tipis, rovesciando ogni cosa e maltrattando le donne che cercavano di fermarli. A perquisizione finita i soldati avevano ricuperato 4O vecchi fucili, molti dei quali fuori uso. Agli indiani era rimasto un solo fucile, ma questo fucile sparò e fu il segnale del massacro. I cannoni Hotchkiss e le truppe aprirono il fuoco contro l'accampamento uccidendo quasi subito tutti i guerrieri che avevano estratto invano i loro coltelli. Poi venne il turno delle donne, molte delle quali furono trucidate a sangue freddo mentre cercavano di nascondersi sotto gli scialli, dei vecchi e dei bambini. ogni cosa che si muoveva fu colpita e distrutta senza pietà. Sistematicamente. Vi furono pochissimi superstiti. Quasi 3OO corpi di indiani rimasero sulla pianura arida spazzata da un vento gelido e carico di neve che soffiava dal nord. La versione ufficiale del governo americano parlò, naturalmente, della "battaglia" e della "vittoria" di Wounded Knee.


da:.tiscali.it/ilpopolo/Indians
 
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